Reinhold Messner: "La paura è l'altra metà del coraggio"

di Laura Ceresoli
Abbarbicato su un’altura, all’imbocco con la Val Senales, si erge l’imponente Castel Juval. A pochi passi dal fascino antico di questo eremo medievale, nel cuore della Val Venosta, capita spesso di vedere Reinhold Messner camminare solitario tra i masi agricoli e i ripidi vigneti. È qui che lo scalatore ha trovato l’ispirazione per scrivere i suoi libri, racconti intensi da cui trapelano non solo aneddoti della sua straordinaria esistenza, ma anche cenni storici legati all’universo delle montagne di cui è profondo studioso e conoscitore. “Ho avuto la fortuna di ammirare tantissimi paesaggi in Patagonia, in Tibet, in Mongolia. Però le montagne più belle del mondo restano le Dolomiti dove sono nato”, dice Messner. Capelli lunghi e barba brizzolata, lo scalatore conserva da sempre l’aria di un uomo d’altri tempi che non può fare a meno delle sue radici. I paesaggi incontaminati del Trentino Alto Adige, in cui spesso si rifugia, rappresentano un ritorno all’infanzia segnata dalle prime scalate con il padre Josef sulle Odle, complesso montuoso nei pressi del suo luogo di nascita, Bressanone. Nella sua intensa vita di alpinista, alla costante ricerca di sfide al limite dell’estremo, ha affrontato con coraggio e caparbietà oltre cento spedizioni e 3.500 scalate. Nonostante i risvolti drammatici della sua prima importante avventura sul massiccio del Nanga Parbat, in cui ha perso il fratello Günther nel 1970, Messner non ha mai smesso di sfidare la natura selvaggia, diventando l’emblema dell’arrampicata libera, nonché il primo al mondo a scalare tutte le 14 cime sopra gli 8000 metri. Nel 1978 è stato il primo uomo a salire sull’Everest senza l'ausilio di ossigeno; ha percorso a piedi il continente antartico passando per il polo sud sfruttando solo il vento e la sua forza muscolare; ha attraversato la Groenlandia senza il supporto di mezzi a motore né cani da slitta. A 60 anni Messner ha compiuto l'ennesima impresa percorrendo a piedi il deserto asiatico del Gobi.
Oggi, all'età di 70 anni, l’eclettico Messner ha appeso gli scarponi al chiodo solo in apparenza. Pur non cimentandosi più in rischiose imprese mozzafiato, continua a organizzare escursioni, conferenze, scrivere libri. Nel frattempo si dedica alla gestione del Messner Mountain Museum, il complesso museale dedicato alla montagna che si snoda tra sei diverse sedi nell’arco alpino. Eppure, con grande umiltà, lui preferisce autodefinirsi un “montanaro” che non ha nulla da insegnare agli altri: “Chi sono io per farlo?”, si chiede con modestia. “Io non amo mettermi in cattedra o dare consigli: io racconto solo la mia esperienza e lascio agli atri trarre le conclusioni”.
A 70 anni si cimenta ancora in arrampicate pericolose o ha smesso di sfidare la natura?
Finché sarò sano e salvo, continuerò con le mie scalate avventurose ma di certo non salirò più a 8000 metri. E poi voglio tentare di raccontare la montagna attraverso il cinema. Ho già le idee chiare ma bisogna trovare i mezzi. Realizzare un film è molto più complesso che allestire un museo.
Il film sarà autobiografico?
No, questa volta vorrei raccontare le grandi esperienze di altri grandi scalatori. Anche nel mio nuovo libro, La vita secondo me (edizioni Corbaccio),  non parlo della mia vita, quella è già nota, ma della mia filosofia di vita.
Ovvero?
Difficile da riassumere in poche parole. Affronto valori come la nascita, la morte, la paura, Dio, la religione, attraverso 70 parole chiave.
Lei crede in Dio?
No, io sono possibilista, nel senso che lascio aperta ogni possibilità. E credo che noi umani non abbiamo alcuna capacità di intravedere la dignità su questa terra.
Cosa fa un uomo attivo come lei nel tempo libero? 
Io non faccio distinzione tra lavoro, gioco o tempo libero. Io vivo e basta.
Anche perché in fondo lei ha trasformato la sua passione in un lavoro…
Ho la fortuna di poter fare cose che una persona normale non può fare. Di solito la gente deve svolgere mansioni pratiche per guadagnarsi da vivere, non insegue la conquista dell’inutile come faccio io.
Il 27 giugno 2014 Giorgio Napolitano, le ha conferito l'onorificenza di Grande Ufficiale e lei lo ha dedicato agli ultimi 20 anni dei suoi musei…
Sono molto contento perché mi ha conferito questa onorificenza non tanto come avventuriero ma come uomo di cultura. Negli ultimi vent’anni ho fatto nascere una struttura museale con base a Castel Firmiano, nei pressi di Bolzano, dove racconto la storia dell’alpinismo, e 5 satelliti museali: il Dolomites al Monte Rite dedicato all’elemento roccia; l’Ortles a Solda sul tema del ghiaccio; il Ripa, museo dei popoli di montagna, a Brunico; il museo delle montagne sacre di Castel Juval in Val Venosta e infine il MMM Corones al Plan de Corones, tra la val Pusteria e la val Badia, dedicato all’alpinismo tradizionale.
Lei ha affrontato imprese rischiosissime nella sua vita. Ma c’è qualcosa che ancora  le fa paura?
Nella mia vita ho dovuto spesso confrontarmi con la paura. Non sono un eroe, sono una persona normale che ha tentato di realizzare i suoi sogni. Poi ci vogliono preparazione, determinazione e coraggio per riuscire a raggiungere grandi obiettivi. Secondo me la paura è soltanto l’altra metà del coraggio: se una persona prova paura deve avere anche il coraggio per superarla.
C’è un obiettivo che non ha ancora raggiunto nella vita?
Dal punto di vista dell’avventura ho raggiunto più obiettivi di chiunque altro e, sempre tenendo conto dell’età, delle forze che piano piano se ne vanno e della capacità di concentrazione che non è più quella di un tempo, spero mi venga data la possibilità di affrontare altre sfide. Comunque oggi  per me non è più così  importante parlare della mia esperienza di alpinista e montanaro ma della mia esperienza umana. 
Condivide la passione per l’alpinismo anche con i suoi figli?
Tutti i miei quattro figli amano la montagna, camminiamo spesso insieme. Mio figlio Simon si arrampica molto bene ma nel frattempo studia. Non vuole diventare un alpinista professionista, per fortuna! Poi ho altre tre figlie femmine. La minore è ancora piccola, deve capire cosa vuol fare nella vita; la maggiore lavora con me al museo. Comunque voglio lasciarle libere di seguire la loro strada, secondo le loro inclinazioni.
Lei ha iniziato a scalare quando aveva 5 anni. Amava i rischi fin da bambino?
Ho sempre avuto entusiasmo per questa attività. Comunque noi alpinisti avventurieri non siamo gente speciale. Abbiamo la bellissima possibilità di fare esperienze fondamentali in mezzo alla natura selvaggia che ci circonda, proprio come l’uomo faceva 10mila anni fa, ed è bello farlo senza affidarci alla tecnologia o a tutti gli aiuti che abbiamo oggi.
Ma i suoi parenti erano preoccupati quando ha iniziato ad affrontare imprese così rischiose?
Un genitore o un fratello è sempre in ansia quando un suo caro affronta imprese così rischiose e non riesce ad avere notizie. Quando mi sapevano sull’Himalaya, in Antartide o abbarbicato su una parete di 3000 metri avevano di certo paura per me e non potevo biasimarli, ma nonostante questo io ho sempre difeso la mia attività prendendomi tutti questi rischi. Quarant’anni fa non c’era il telefono satellitare e i contatti col mondo erano difficili. Oggi è diverso, i giovani mettono in internet in tempo reale tutto quello che fanno. Io non critico questo, è un dato di fatto. Il mondo è cambiato, la tecnologia ha portato tanti aiuti. Però è ancora difficile sopravvivere a 8000 metri.
Il ricordo più bello di una sua scalata?
Ho fatto più di 3500 scalate, oltre 100 spedizioni e ognuna di esse è inconfondibile e unica.
Tra i giovani alpinisti c’è qualche emergente che stima in modo particolare?
Quando ho iniziato io c’erano bravi scalatori solo nel Centro Europa, attorno alle Alpi, in Russia o in Giappone. Oggi invece ci sono alpinisti di grande livello in tutto il mondo.
Che consigli darebbe a una persona che vuole intraprendere la carriera di alpinista?
Io non dò consigli, non mi piace parlare dal pulpito. Io racconto solo la mia esperienza e insegno tutto quello che è successo negli ultimi 300 anni di storia della montagna. Lascio decidere a chi viene ad ascoltare le mie conferenze o ai lettori dei miei libri cosa fare della loro vita.
Un’ultima curiosità: è mai andato in vacanza al mare?
No mai. Ci sono solo passato per caso. Il mare non è il mio mondo.
(intervista effettuata per il settimanale VISTO ad agosto 2014)









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