No alla violenza psicologica: quando denunciare non basta

La violenza psicologica è un uomo che ti dice: “Smettila sennò non so cosa ti faccio”, “Togliti dai piedi!”, “Mi sembra di parlare coi deficienti”, “Combini solo guai”, “Ma nemmeno quello sai fare?”. La violenza psicologica è molto più subdola di quella fisica perché colpisce nell’anima, ti svilisce, ti rende un’ombra passiva. È un marito che ti colpevolizza e ti toglie la personalità mistificando la realtà: “Non sono io che sono nervoso, sei tu che rompi”. E anziché sostenerti nella gioia e nel dolore ti sussurra con disprezzo e indifferenza: “Adesso non è il momento di parlare dei tuoi problemi”. La violenza psicologica è un uomo che ti fa sentire fragile soltanto perché cerchi una parola di conforto: “Non sei la donna forte che pensavo di avere al mio fianco”. E così giorno dopo giorno lo assecondi, nella speranza che non gli saltino i nervi, elemosinando pateticamente un sorriso che non arriverà mai. Eppure non te ne vai subito sbattendo la porta perché lui ti rende insicura: “Ma dove lo trovi un altro come me che ti sopporta? Ma chi vuoi che ti guardi?”. Per fortuna ci sono anche donne che la forza di fuggire da un legame malato alla fine la trovano. Magari denunciano. Ma siamo sicure che serva davvero denunciare? La violenza psicologica non lascia segni fisici, ma solo cicatrici indelebili nel cuore. Forze dell’ordine, psicologi e luminari di vario tipo vi ribalteranno come un calzino, vi tempesteranno con una serie di domande umilianti e poi vi abbandoneranno a voi stesse senza offrirvi un aiuto concreto. Magari vi accuseranno pure di essere false e bugiarde, perché non avete prove. E vi sentirete ancor più annientate psicologicamente, perché non siete credute. Così daranno l'alibi al carnefice di sentirsi onnipotente, lasciandolo nella convinzione di non aver fatto nulla di sbagliato. Insomma, alla fine la vera forza di andare avanti va ricercata dentro ognuna di noi.

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